Io ho fatto il liceo scientifico dai salesiani, a Torino Valsalice. (Come Travaglio, che ha un anno meno di me e ha fatto il classico. Non mi ricordo affatto di lui). Ai miei tempi i professori erano quasi tutti salesiani, giusto quello di ginnastica era un laico, e generalmente non erano giovanissimi: don Bellone era uno degli ultimi ancora in vita.
Ci insegnò italiano nel triennio, e inoltre latino l’ultimo anno. Però il verbo “insegnare” non è propriamente corretto: quelle che faceva erano lezioni che sarebbero forse andate bene per studenti universitari, non certo per sedicenni che hanno ancora tanto da capire e arrivavano da un biennio con un insegnante “chioccia”, don Dario Bianco. Iniziava a parlare, mischiando temi medievali (il suo campo di studi) ai fatti contemporanei, partendo per non so quante tangenti e arrivando di colpo all’argomento teorico della lezione. Non parliamo dei temi: affermava che per dare i voti buttava i fogli (A5, non protocollo) contro un muro e dava il voto più alto a quelli che restavano più vicini… “tranne qualche volta che faccio il rovescio tanto per cambiare”.
Il risultato pratico è stato che io di letteratura italiana non ne ho mai saputo nulla :-) (sui temi non mi sono mai fatto troppi pensieri: scrivevo direttamente in bella, consegnavo dopo un’ora e un quarto e via). Però ho continuato a seguire i suoi voli pindarici: quando ero ancora a Torino, andavo spesso a sentire la messa della domenica sera alla Gran Madre – esattamente dalla parte opposta della città rispetto a dove vivevo – perché celebrava lui e mi potevo gustare una ventina di minuti di conferenza storica-artistica-religiosa, senza alcun collegamento con il vangelo del giorno. E a giudicare dall’assemblea, non ero certo il solo.
Oggi le parole di un mio compagno di classe mi hanno finalmente fatto capire esplicitamente quello che avevo confusamente intuito. Ha scritto: «Un Don di altri tempi, talvolta talmente duro e apparentemente distante da noi giovani che arrivai a chiedergli un giorno perchè era diventato salesiano. Mi rispose che in quel suo essere sferzante e ossessivo nello spingerci a fare cose diverse dalla massa stava tutto il suo volerci bene… »
Beh, anche se non ho imparato molto di letteratura italiana spero di avere imparato a fare cose diverse dalla massa. Una cosa del resto è certa. Il mio modo di spiegare le cose, come sa chi mi legge sul Post, è piuttosto particolare. Ci ho messo decenni per affinarlo: oggi mi sono accorto che non è poi così diverso da come don Bellone spiegava le cose. Spero di averne fatto buon tesoro.
Ultimo aggiornamento: 2013-11-05 16:57
Sì, ne hai fatto tesoro e la storia della letteratura si può sempre imparare a posteriori.
Al mio liceo potevano andare sia i ragazzi che le ragazze (NdR a differenza del liceo di .mau. quando ci andava lui); i prof erano quasi tutti donne, e l’unico prete era quello di religione, Don Dino detto Dindondan.
La mia prof di italiano nel triennio, Maria Navoni, era una ferrarese trapiantata in Toscana, con un amore per la materia troppe volte frustrato da una serie di classi disaffezionate e pur mai vinto. La letteratura italiana non è mai stata la mia passione, ma in tre anni questa donna minuta, dal viso perennemente gentile e la voce sempre tranquilla, è riuscita ad affascinarmi, e qualcosa ho imparato.
A fine quinta e sapendo che mi aspettavano studi scientifici, mi regalò… una pagina dattiloscritta, la poesia Barbara di Prévert (in francese) che “aveva usato per far esercizio di dattilografia”. Ricordo ancora (a memoria) quella poesia, molte sue belle spiegazioni, e soprattutto la fiducia nelle mie capacità che lei e l’intero corpo docente riuscirono a trasmettermi.
Da quella classe di quattordici svaporati, in un liceo di provincia letteralmente e figurativamente senza nome, sono usciti un professore ordinario e due ricercatori universitari.
Per i miei figli ho scelto la scuola pubblica, senza esitazione alcuna.